Europa al bivio cruciale. Intervento di Gabriele Orcalli

28 Mar 2020.

Europa al bivio cruciale

Come era facile immaginarsi, la riunione del Consiglio Europeo di giovedì si è conclusa con un non accordo e, necessariamente, con un rinvio. Il centro del disaccordo sembra essere, guardando ai resoconti della discussione, la questione degli eurobonds o, come sono stati chiamati, coronabonds. Occorre però fare chiarezza sulla questione. Se la proposta, italiana in particolare, era di emettere titoli di debito europei, la questione non si pone nemmeno: l’UE non ha la possibilità di emettere titoli di debito, semplicemente perché non ha competenze di politica fiscale. Esiste un bilancio europeo, certamente, anche se molto striminzito, ma non una politica fiscale comune che consenta di emettere titoli di debito, e, credo, al momento nessun Paese membro sarebbe disposto a trasferire competenze fiscali all’UE. Parlare di eurobond, in questa situazione, non ha senso: lo si potrà fare solo dopo una riforma dei Trattati istitutivi che, al momento, è al di là da venire.

Eppure l’idea continua ad essere affascinante, non solo per l’ideale della costruzione federale europea: basti pensare che, secondo i dati offerti dall’ultimo Rapporto sulla stabilità finanziaria pubblicato dalla Banca d’Italia (rapporto sulla stabilità finanziaria, Tav.A1) l’area Euro, nel suo complesso, ha un rapporto debito/PIL – per intenderci quello che in Italia raggiunge il valore di 133 – pari ad 85. Se confrontato con il 107 degli USA, che si preparano ad una fortissima manovra finanziaria, ed il 237 del Giappone, apparirebbe chiara la potenzialità di indebitamento europea, anche a fronte dell’appello di Draghi. Solo spostare il rapporto da 85 a 95 potrebbe in effetti mettere a disposizione del sistema circa mille miliardi di euro senza creare grandi sconquassi finanziari. Tuttavia, è chiaro che il problema non sta tanto nella capacità europea di indebitarsi, quanto nella disponibilità dei Paesi membri di trasferire questa competenza all’UE e, quindi, di condividere il peso del debito.

Allora di cosa si parla? Probabilmente una idea percorribile è di incaricare una istituzione legata all’UE di farsi carico di una emissione di debito. L’unica di cui oggi disponiamo è il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES). Il MES, però, non è una istituzione sovranazionale, ma bensì intergovernativa, e quindi soggetta al diritto di veto di qualsiasi Paese ed esposta, come sostengono Giavazzi e Tabellini ( Eurobond perpetui contro il Covid-19), ad interessi individuali e non comuni a tutta l’Europa. Oltre ad avere un esplicito rifiuto da parte di alcuni Paesi, fra i quali l’Italia, per la sua caratteristica della condizionalità (ossia mettere un Paese “sotto tutela” esterna – la famosa troika-), soffre di un peccato originale, ossia di essere nato per affrontare difficoltà finanziarie di tipo asimmetrico, proprie cioè di un solo Paese, come a suo tempo la Grecia. Questo caso è completamente differente, i problemi economici creati dal coronavirus sono simmetrici a tutti i Paesi, e le linee di credito da creare dovrebbero aiutare l’intera area ad affrontare sia i problemi finanziari legati alle questioni sanitarie che quelli legati al rilancio dell’economia. Problemi che, con ogni probabilità, richiederanno molto tempo per essere risolti, mettendo in questo modo in risalto non solo la dimensione del finanziamento, ma anche la sua scadenza: Il MES, nella sua attuale configurazione, non è certo adatto a prestiti a lunga e lunghissima scadenza. A questo proposito Giavazzi e Tabellini arrivano a proporre l’emissione di “eurobond” (naturalmente emissione in contemporanea da parte di tutti i Paesi membri, non da parte dell’UE che, come abbiamo visto, non è titolata ad emettere debito) a scadenza ultradecennale od addirittura di obbligazioni perpetue.

Il Governo italiano ha fatto bene, a mio avviso, a rifiutare l’ipotesi di far intervenire il MES nella sua attuale configurazione, sottolineando che i problemi economici del coronavirus sono problemi comuni a tutta l’Europa e che potremo venirne fuori solo assieme. Nella lettera di Conte e di altri leaders europei si sostiene la necessità di… “ lavorare su uno strumento di debito comune emesso da una Istituzione dell’UE per raccogliere risorse sul mercato sulle stesse basi e a beneficio di tutti gli Stati Membri, garantendo in questo modo il finanziamento stabile e a lungo termine delle politiche utili a contrastare i danni causati da questa pandemia.” Se, come credo, sia difficile pensare ad una emissione da parte di una Istituzione della UE, dovrebbe essere valutata la proposta di Giavazzi e Tabellini di una emissione congiunta da parte di ogni Paese membro di un bond identico a quelli emessi dagli altri Paesi, garantito dalla disponibilità della Banca Centrale Europea ad acquistarli per stabilizzare il tasso di interesse e, per quanto riguarda la solvibilità, dalla capacità fiscale congiunta degli Stati che partecipano all’emissione. Rispetto alle misure attuate finora, vale a dire il quantitative easing della BCE e la sospensione del Patto di stabilità, molto importanti ma che si rivolgono ai singoli Paesi ed alle loro singole iniziative, il punto di svolta fondamentale richiesto dai Governi che hanno firmato la lettera citata è appunto la creazione di uno strumento nuovo comune, a favore ed a carico congiuntamente di tutti i Paesi membri: appunto la garanzia offerta dalla capacità fiscale congiunta degli Stati europei.

Un progetto sicuramente molto ambizioso, ma che gode del vantaggio di poter essere utilizzato rapidamente, visto che non abbiamo il tempo di aspettare modifiche dei Trattati o del testo dell’Accordo sul MES. D’altra parte, individuare strumenti comuni utili servirebbe non solo ad affrontare adeguatamente la profonda crisi che stiamo solo iniziando a vivere, ma anche a cercare un rilancio delle prospettive di integrazione europea evitando il fallimento di un ideale che ci ha appassionato fino ad oggi. Se si dimostrasse ancora una volta che l’Europa è una coalizione di paesi fatta per dividere i profitti, ma non per condividere le difficoltà ed i costi, correremo il rischio di una grave e forse irreversibile involuzione della nostra storia comune.

Gabriele Orcalli
Economista, componente Comitato Scientifico di FONDACO EUROPA

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