28 Mar 2017.
In occasione delle cerimonie previste per il 60° anniversario dei Trattati di Roma i quotidiani italiani hanno ospitato diversi commenti sul futuro dell’UE. In vista del prossimo appuntamento organizzato da Fondaco Europa, la presentazione del libro “Né centauro né chimera – modesta proposta per un’Europa plurale” scritto da Antonio Armellini e Gerardo Mombelli per Marsilio che avverrà venerdì 31 marzo alle 17.30 presso la Libreria Feltrinelli di Mestre, vale la pena sottolineare alcuni passaggi che riguardano il tema dell’integrazione differenziata o dei “cerchi concentrici” che viene affrontato nel libro di Armellini e Mombelli.
Marcello Messori, direttore della Luiss School of European Political Economy, nel commento apparso su Repubblica del 22 marzo identifica la velocità minima e quella massima della futura UE. L’autore parte dall’idea che l’appartenenza al processo di integrazione debba basarsi su un minimo fattore comune che abbia un adeguato potere di coesione ma che al tempo stesso non contrasti con gli interessi degli stati membri e permetta, in futuro, di poter adottare la velocità massima. L’appartenenza al mercato unico rappresenta, secondo l’autore il minimo fattore comune che identifica la velocità minima. La velocità massima è invece indicata nel processo che passando per l’unione economica e monetaria si ponga l’obiettivo dell’unione politica. Nella scelta della velocità da adottare ogni paese è sottoposto a un duplice vincolo: non si può scegliere una velocità inferiore a quella minima (la partecipazione al mercato unico) e chi sceglie di partecipare all’unione monetaria non può adottare una velocità che lo allontani dalla piena integrazione con gli altri membri della Uem. Una prospettiva che ridimensiona e semplifica l’idea dei cerchi concentrici o delle diverse velocità riducendo le opzioni per i paesi dell’UE. Appare infatti evidente che le velocità differenziate non sono praticabili ai paesi dell’area Euro. La conclusione che si può trarre partendo dalle suggestioni di Messori è che le velocità possibili rimarrebbero tre, quella minima, che caratterizza i paesi che decidono di partecipare al mercato unico (e al suo completamento), una intermedia, certo, con diverse intensità, adottata dai paesi che decidono di avviarsi verso la partecipazione all’area Euro, e quella massima, dei paesi che corrono verso l’unione politica.
Il secondo commento, a firma di Sergio Romano, è apparso sul Corriere della Sera sempre del 22 marzo. L’autore esordisce segnalando che l’Europa a più velocità non sarà una passeggiata. Sintetizzando i passaggi storici citati da Romano si può affermare che il sogno federale che ha accomunato la prima fase della storia del processo di integrazione in Europa si è trovato a fare i conti con l’allargamento a Est. Secondo l’autore la colpa dei vecchi paesi membri sarebbe quella di non essersi resi conto che i nuovi paesi entranti non erano disposti a rinunciare (gradualmente) alla propria sovranità, ma se mai di riconquistarla dopo l’esperienza sovietica. Il risultato dell’allargamento è stata la creazione di una Europa a due teste, ognuna dei quali con sogni propri. In tale contesto l’Europa a più velocità rappresenta, secondo Romano, il solo modo per non buttare via quello che si è costruito in tre generazioni evitando che le sorti del processo di integrazione vengano decise da chi non ha mai condiviso gli ideali e le speranze dei paesi fondatori.
Approcci diversi che rappresentano alcune delle molteplici sfaccettature che verranno affrontate nel dibattito di venerdì prossimo con l’ambasciatore Antonio Armellini.