Dopo decenni di pace, si è aperta una fase complessa e sfidante
MARTA OTTAVIANI
Il 24 febbraio 2022 l’Unione Europea ha dovuto prendere atto del fatto che i decenni di pace di cui ha goduto sono il frutto di un esperimento politico straordinario, che adesso però viene messo alla prova da un contesto internazionale quanto mai sfidante e complesso.
L’ordine mondiale della Guerra fredda non esiste più. Se una volta c’erano due poli, rappresentati dagli Stati Uniti e dall’Unione Sovietica, oggi da una parte c’è l’Occidente, trainato da Washington, l’Unione Europea e Israele. Dall’altra, una cordata di Paesi a composizione variabile e che fa capo a Pechino. Paesi in ascesa economica, con proiezioni demografiche positive e che hanno fame di conquistare il loro posto nel mondo. Spesso, per motivi storici o narrazioni costruite ad hoc, questa cordata di Paesi nutre sentimenti di astio se non addirittura di rivendicazione nei confronti dell’Occidente, che si traducono in una volontà, nemmeno troppo malcelata di minare i regimi democratici o che si stanno incamminando verso la democrazia. L’obiettivo è quello di favorire lo sviluppo di società più inclini alle democrature, se non ai regimi autoritari, che alle vere democrazie.
Pechino può contare su molti alleati, più o meno fedeli. Ma il suo rimane un fronte frammentato, con numerose rivalità interne e capitoli su cui i Paesi che ne fanno parte hanno posizioni diverse. Purtroppo, non è sufficiente per fare stare tranquillo l’Occidente e chi all’Occidente si vuole allineare. La Cina è sempre più nervosa e cerca di pressare l’altra parte del mondo, quella democratica, con toni diplomatici sempre più aggressivi, incidenti in acque orientali, ma che potrebbero contagiare tutto il globo, oltre alla guerra commerciale che può permettersi perché, da Paese nei fatti ancora in via di sviluppo, non è soggetta alle clausole stringenti del WTO.
C’è la Russia di Vladimir Putin, con le sue ambizioni neoimperiali, che ha di fatto invaso per due volte in dieci anni uno stato sovrano, l’Ucraina, portandogli via parte del suo territorio e lo ha fatto calpestando qualsiasi principio di diritto internazionale. Un precedente pericoloso, che potrebbe ispirare altre nazioni. Proprio questo rappresenta un motivo in più per stare al fianco di Kiev che, con la sua lotta per difendere la sua democrazia, sta difendendo anche i valori che sono alla base dell’Unione Europea.
Ma non è tutto, purtroppo. Quello che Mosca non fa con le armi, lo fa con la guerra non lineare. Misure attive, che consistono in amici del Cremlino inseriti nella società, dalla gente comune agli livelli superiori: accademico, diplomatico, a volte persino politico. Campagne di disinformazione, con le quali prende di mira governi che considera nemici o la stessa Unione Europea, demonizzandola e facendola passare come una «Europa matrigna», quando invece è l’esatto contrario, per minarla dalle fondamenta, ossia dall’orientamento del suo elettorato. Obiettivo in parte raggiunto alle scorse elezioni, con il risultato delle destre estreme e che deve rappresentare un monito per imparare a conoscere queste tecniche di guerra non lineare, perché anche da ciò dipende la difesa delle nostre democrazie.
C’è un altro Paese con cui è necessario dialogare ed essere pragmatici, ma con il quale non bisogna entrare in una relazione di sudditanza ed è la Turchia di Recep Tayyip Erdogan. Ankara che, ricordiamolo, rappresenta il secondo esercito numerico della Nato e bussa da tempo alle porte dell’Unione Europea, dove non è entrata a causa della deriva autoritaria operata dal capo di Stato ma non solo, da anni porta avanti una politica estera autonoma, che spesso confligge con i nostri interessi nazionali e con quelli europei.
Tralasciando la delicata situazione in Medioriente, dove Erdogan da tempo ha assunto il ruolo di garante dell’organizzazione terroristica Hamas, la Turchia è attiva in diversi quadranti in una posizione a volte ambigua a volte in contrasto con quella dell’Ue. In Ucraina sostiene Kiev ma non solo non applica le sanzioni contro Mosca, aiuta la Russia a triangolarle, facendo passare merce dal suo territorio. In Africa ha conquistato posizioni di tutto rispetto, soprattutto in Paesi e regioni dove un tempo l’Italia era molto attiva, in primis Libia e Corno d’Africa. Con la base a militare a Mogadiscio, in qualche modo speculare a quella che la Cina ha a Gibuti, controlla quelli che sono mari importantissimi per le rotte commerciali.
A queste nazioni avide di potere e che perseguono in modo asservito i loro interessi, si può e si deve rispondere solo con una voce, quella dell’Unione Europea.
Pensare di poter fare leva solo sul proprio peso nazionale o su rapporti bilaterali, anche se ottimi, significa non avere compreso la portata del nuovo ordine globale e i rischi che ne derivano.