18 aprile 2020. Nelle ultime settimane si è discusso molto di come la politica fiscale debba essere orientata per permettere ai paesi colpiti dalla pandemia di Covid-19 di recuperare il più velocemente possibile dalle ampie cadute che molti indicatori economici faranno inevitabilmente segnare nei prossimi mesi.
A livello europeo il dibattito si è ovviamente concentrato su ciò che l’UE può, potrebbe o dovrebbe fare per aiutare i paesi membri. Alcune soluzioni prevedono l’emissione di nuovi titoli di debito pubblico, gli eurobond (ribattezzati per l’occasione coronabond) il cui rimborso dovrebbe essere garantito dai paesi dell’Euro in una forma che introduce la responsabilità comune per il debito aggiuntivo. Pochi giorni fa il prof. Orcalli ha fatto il punto su alcune di tali proposte.
La materia appare decisamente complicata ma un recente commento 1di Thorsten Beck, Research Fellow del think tank CEPR (Center for Economic and Policy Research) apparso su Voxeu, può aiutare ad orientarsi nel dibattito. L’economista tedesco nell’articolo in cui appoggia l’idea che l’UE dovrebbe rispondere allo shock scegliendo la via della responsabilità comune per il debito e quindi quella dell’Eurobond, fornisce delle risposte a due domande cruciali: perché i paesi europei che hanno minori problemi di bilancio dovrebbero scegliere la via degli eurobond? Perché gli stati dell’area Euro dovrebbero cedere competenza all’UE anche in materia di politica fiscale?
Procediamo con ordine: il punto di partenza dell’economista tedesco è che le economie europee sono strettamente interconnesse. A legarle una fitta rete di relazioni che prendono la forma, ad esempio, delle catene di approvvigionamento, della sempre più spinta integrazione del mercato dei servizi e della mobilità del lavoro tra paesi UE. In un quadro come quello descritto è interesse di tutti i paesi che la ripresa avvenga rapidamente e in tutta Europa. Se l’obiettivo è chiaro il suo raggiungimento non appare così semplice per almeno due motivi. In prima battuta alcuni paesi hanno minor spazio fiscale disponibile di altri e quindi possono introdurre misure di politica fiscale di intensità o durata minore rispetto a quello che sarebbe necessario per una ripresa veloce. La raccolta di risorse attraverso l’emissione degli eurobond potrebbe risolvere questo problema.
Ma perché ai paesi che hanno maggiori spazi fiscali conviene assumersi la responsabilità a beneficio dei paesi con uno spazio di politica fiscale inferiore? Beck invita a pensare a cosa potrebbe succedere se questi ultimi fossero lasciati soli delineando due scenari: nel primo i paesi con minor spazio fiscale potrebbero adottare stimoli espansivi limitati sia nelle risorse a disposizione che nel tempo, rallentando la ripresa in tutta l’area Euro con un risultato negativo per tutti i paesi; nel secondo scelgono la via di un vigoroso stimolo fiscale correndo il rischio che il loro debito diventi insostenibile. In questo caso potrebbe attivarsi un circolo vizioso caratterizzato da bassa crescita e dall’aumento delle divergenze fra i paesi nell’Unione Monetaria, che potrebbe portare all’esito più negativo: l’uscita dall’Euro con ricadute pesanti per l’intero sistema.
Un ulteriore elemento da considerare riguarda l’attribuzione di competenze all’UE in materia di politica fiscale da parte degli stati membri. Le politiche fiscali generano forti esternalità, questo significa che una manovra espansiva adottata da un paese ha affetti espansivi anche negli altri paesi. In presenza di esternalità come quelle descritte la soluzione che permette di evitare l’adozione di misure insufficienti di politica fiscale è quella del coordinamento delle politiche fiscali stesse tra stati o di un accentramento a livello europeo. In assenza di questa soluzione la somma delle misure adottate dai singoli stati potrebbe risultare uno stimolo troppo debole per uscire tutti dalla crisi.
Come ricordato da Beck, a sostegno di un intervento forte a livello europeo non ci sono esclusivamente motivazioni economiche ma anche politiche e sociali. Ciò che è avvenuto con la Brexit dovrebbe farci ricordare che i progressi nell’integrazione europea non sono irreversibili e che l’assenza di un approccio comune alla crisi può avere gravi ripercussioni politiche. Un nuovo fallimento dell’UE potrebbe dare ulteriore impulso al populismo e ai partiti autoritari che già hanno trovato terreno fertile dopo la crisi finanziaria globale e le due recessioni avvenute nel periodo 2008-2011.
Gianluca Toschi
Economista
Coordinatore del Comitato Scientifico di FONDACO EUROPA