Sono proprio in crisi le nostre democrazie? Ce lo siamo detti tante volte (…forse troppe?). E nel frattempo non ci accorgevamo che entravano in crisi anche, e forse più, le autocrazie, i regimi autoritari.
Cominciamo dalla Cina, che sta vivendo un periodo non florido dal punto di vista economico e delicato dal punto di vista politico interno, con manifestazioni di piazza che hanno costretto Xi Jinping, appena reincoronato sovrano assoluto del partito e quindi dello Stato, a modificare la fallimentare gestione del Covid.
Erdogan, che sta subendo una massiccia reazione popolare al suo tentativo di emarginare dalla vita politica il sindaco di Istanbul e capo dell’opposizione, in un paese che convive sempre più faticosamente con un’inflazione superiore all’80 per cento su base annua (… quanto potrà durare?).
Putin, che è costretto ad annullare la conferenza stampa di fine anno per paura di trovarsi in imbarazzo di fronte a domande di giornalisti che mettano in luce i disastri dell’avventura bellica in Ucraina.
Il regime degli Ayatollah in Iran, scosso da mesi di manifestazioni popolari che non sembrano placarsi, malgrado la feroce repressione messa in atto.
Queste autocrazie non appartengono a un’alleanza. Tuttavia, hanno un denominatore comune: esportano instabilità. Ecco perché è importante la compattezza della risposta occidentale. Finora l’Occidente, preso ripetutamente di mira dai regimi sopracitati (pensiamo alle incursioni informatiche), si dimostra da molti mesi compatto nel sostegno all’Ucraina, unito di fronte alla sfida più impegnativa mai affrontata negli ultimi decenni: una guerra dentro l’Europa. E tutto ciò a dispetto dei tanti analisti che da tempo predicevano la rottura di questa unità, destinata a spezzarsi per ragioni legate agli approvvigionamenti energetici o per convenienze di altro tipo.
Veniamo infine alla pagina dolorosa dello scandalo che coinvolge il Parlamento europeo. Attenzione a non abbandonarsi solo all’indignazione, più che giustificata, ma non sufficiente a sostenere una reazione positiva a fatti criminosi che scuotono la credibilità dell’unica istituzione europea dotata di legittimazione popolare.
Occorre sottolineare che proprio i sistemi democratici hanno la capacità di scovare all’interno di se stessi, in questo caso nella culla delle culle (mi riferisco al Parlamento europeo), il marcio, di analizzarlo, di combatterlo e augurabilmente di estirparlo. E qui, credo che il ruolo che possono svolgere le opinioni pubbliche, di cui tutti siamo parte, sia molto importante.
Per esempio, la campagna di sensibilizzazione che si è sviluppata in Germania sul regime oppressivo che vige in Qatar ha avuto sicuramente un peso sulla caduta di audience del mondiale di calcio (e questo ancor prima della eliminazione dal torneo della nazionale tedesca).
Parimenti è auspicabile che l’indignazione profonda prodotta dallo scandalo sorto in seno al Parlamento europeo trovi uno sbocco positivo, non tracimi, sconfinando in un populismo che solo delegittima, ma costringa le classi dirigenti dei paesi europei a produrre quel salto di qualità nel cammino dell’unificazione, condizione indispensabile per affrontare le sfide globali del nostro tempo.