È un momento difficile, ma la strada resta quella giusta. L’augurio di Fondaco Europa
ARCANGELO BOLDRIN
Sembra essere alle porte (…se non già iniziata) una tempesta perfetta, che si sta per abbattere sull’Europa e sulla sua faticosa strada di integrazione e di possibile unificazione.
Aprendo ancor più l’angolo visuale, appaiono con evidenza la difficoltà che stanno vivendo le democrazie occidentali, prese di mira dai regimi autocratici o dittatoriali (Russia, Cina, Iran, Corea del Nord e altri), indebolite da forze interne, prevalentemente nazionalistiche o populiste, che con quei regimi ammiccano, se non solidarizzano apertamente.
A questo quadro si aggiungano le smanie imperiali, o di potenza, di paesi teoricamente alleati dell’Occidente, ma nient’affatto allineati, come la Turchia di Erdogan o l’India di Modi. Per non parlare dell’Ungheria di Orban o della Slovacchia di Fico, paesi sempre più in rotta di collisione con i valori fondativi e le scelte dell’UE, alla quale pure appartengono.
Si aggiunga, ancora, la constatazione che gli Stati Uniti di Trump non sono per nulla amici dell’Europa e del suo processo di integrazione.
E infine, oltre a questo, bisogna amaramente rilevare anche l’obiettiva mancanza di una leadership autorevole a livello dell’Unione, con i due paesi guida, Francia e Germania, alle prese con crisi economiche, politiche ed istituzionali di diversa intensità, ma di non trascurabile portata.
Un quadro tutt’altro che rassicurante.
Pensando a tutto ciò, in questo tempo così complicato, mi sono chiesto quale possa essere il ruolo di Fondaco Europa, quale possa essere il senso del nostro impegno e del nostro lavoro, volendo evitare di cadere nella sola riproposizione retorica degli ideali europeisti dei padri fondatori o, peggio, in una sorta di romanticismo privo di sbocchi possibili e obiettivi concreti (quindi realizzabili) da perseguire.
Poi però sono tornato a leggere e a ricordare altri momenti difficili, meglio dire drammatici, vissuti dal nostro continente. Una sola data per tutte: 1940.
In quell’anno l’Europa faro di civiltà, l’Europa culla delle democrazie liberali, l’Europa esperienza riuscita di convivenza tra religioni e culture diverse, sembrava perduta, invasa e sottomessa al nazi-fascismo, pronto a sferrare l’ultimo colpo con una tempesta di fuoco, che da settembre cominciò ad abbattersi sulle città inglesi, Londra in primis, unico baluardo che ancora resisteva contro le forze della barbarie, vittoriose in tutto il continente e apparentemente invincibili.
Tutto insomma in quell’anno sembrava compromesso, complice non ultima la posizione di non intervento degli Stati Uniti.
Perché richiamo quel tempo? Non certo per equiparare quei mesi drammatici alla stagione attuale, ci mancherebbe, ma solo ed esclusivamente per segnalare che nelle situazioni più gravi la storia talvolta ci sorprende: in quel caso, emerse la leadership di Winston Churchill a salvarci dal baratro.
Voglio dire che, anche se oggi il percorso di unificazione europea sembra molto in salita, potrebbero crearsi le condizioni perché questo cammino trovi nuovo impulso.
Non sappiamo quale fase si apra per la Germania dopo le elezioni di febbraio o come si dipanerà la crisi francese.
Non possiamo neppure escludere che, di fronte alle obiettive difficoltà e alla mancanza di ruolo nel mondo, l’Unione Europea riesca a trovare in sé la spinta per procedere e vincere quella che Mario Draghi nel suo rapporto ha definito «sfida esistenziale».
Del resto, di fronte ad altri passaggi difficili – ne cito solo due, la crisi finanziaria del 2008 e la pandemia – l’Europa ha reagito. Quindi si può, è già successo, potrebbe accadere di nuovo.
Voglio fare un esempio che riguarda una delle sfide più urgenti: il sistema di difesa europeo. Desidero segnalarvi almeno due posizioni sull’argomento (ospitate tra l’altro nell’ultimo numero della nostra newsletter), molto interessanti per la loro praticabilità.
La prima, delineata da Alessando Marrone (esperto difesa dello IAI Istituito Affari Internazionali), che suggerisce la costruzione di un pilastro europeo più forte, più solido e più coeso in seno alla Nato, cosa possibile date le responsabilità che militari europei di alto grado hanno già assunto nei comandi dell’Alleanza dislocati nel nostro continente.
La seconda, più di prospettiva, ma non per questo meno interessante, proposta da Federico Fabbrini (giurista, docente all’Università di Dublino), secondo il quale è giuridicamente possibile ridare vita alla Ced (Comunità Europea di Difesa), strumento sovranazionale mai attivato dopo la bocciatura francese negli anni Cinquanta, ma mai estinto giuridicamente.
Altre iniziative ancora potrebbero essere promosse da subito per accelerare i processi di integrazione. Sarebbe quindi davvero colpevole non continuare con la dovuta energia a coltivare e a far crescere la coscienza e la consapevolezza della necessità della costruzione europea, anche per farci trovare pronti a cogliere le opportunità che potrebbero presentarsi.
Insomma, è il caso di individuare percorsi praticabili, obiettivi possibili e su questi concentrare le risorse e le energie, senza per questo rinunciare alle grandi mete, comunque da perseguire.
Consentitemi un’ultima considerazione.
Tutto il patrimonio di valori e di benessere che contraddistingue la vita di noi europei (unici al mondo a goderne in misura così estesa e cospicua) non è scontato nel panorama futuro di questo mondo disordinato. È bene saperlo, per essere preparati a mantenerlo attraverso più integrazione e a difenderlo da aggressioni di vario tipo.
Questa è la posta in gioco!
Gli Stati Uniti d’Europa è l’obiettivo. La strada può essere lunga, ma possiamo arrivarci: dipende anche da noi.
Buon anno.
Arcangelo Boldrin